La Sommelier dell'arte

Leonardo e Michelangelo: il non finito come espressione del senso dell’arte

Leonardo e Michelangelo

Leonardo Da Vinci e Michelangelo Buonarroti.

La storia li ha sempre voluti antagonisti, in contrapposizione, rivali… ma lo scopo di questo articolo è quello di mostrare come in realtà, i due artisti siano di fatto in sintonia non solo per quanto riguarda alcune caratteristiche stilistiche, ma anche e soprattutto per quello che entrambi definiscono il senso dell’arte.
Innanzitutto va ricordato che i due geni toscani hanno avuto il “piacere” di lavorare fianco a fianco alla stessa commissione; entrambi hanno avuto infatti il prestigioso incarico di affrescare le pareti della sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze: Michelangelo con la rappresentazione della battaglia di Cascina doveva impreziosire la parete di destra, e Leonardo con la battaglia di Anghiari quella di sinistra.
Entrambi i disegni noi li conosciamo grazie a dei cartoni sui quali i maestri avevano abbozzato il loro schizzo, perché nessuno dei due ha mai portato a termine la commissione.

Potrà sembrare singolare, ma proprio questo aspetto, il non finito, è ciò che accomuna i due artisti sia nello stile…che nel carattere. Entrambi conosciuti per avere un temperamento focoso e facile all’ira, hanno sempre avuto una peculiare predisposizione a non portare a compimento opere che gli erano state accordate, lasciando così incompiute commissioni importanti. Il non finito lo si può riscontrare anche nelle stesse opere che li hanno resi celebri: per le sculture michelangiolesche si possono citare Lo schiavo barbuto, l’Atlante, la Pietà Rondanini; opere che dichiaratamene sembrano non emergere del tutto dal blocco di pietra o marmo che dà loro vita, ma si fondono in un tutt’uno, creando una miscela di corpo, tecnica e anima.
Già, perchè per Michelangelo, il non finito permette di porre all’interno della scultura, un pezzo della propria anima e della propria visione dell’arte.

Non si deve cadere nell’errore di pensare che questa tecnica sia sintomo di inesperienza o tanto meno incapacità; al contrario, non si può fare a meno di notare quanto le caratteristiche del non finito, incarnino perfettamente il senso di un animo ribelle e sorprendentemente moderno per l’epoca secondo cui il senso più profondo dell’arte va ben oltre la rappresentabilità attraverso la materia. L’arte è emozione, vibrazione dell’anima e quindi libertà, e il non finito è la massima espressione di autonomia che Michelangelo ha potuto trovare, per uscire da rigidi schemi fatti di proporzioni e formalismi.

Il Non finito è dunque una tecnica che parla di sentimento più che di ragione, e che secoli avanti gli avanguardisti (futuristi, surrealisti, dadaisti, impressionisti, contemporanei..) useranno come spunto per dar vita alle loro opere.

E Leonardo? Leonardo declina il concetto di non finito in maniera differente; documenti storici e

Leonardo, Mona Lisa

testimonianze biografiche ci parlano di un artista che soleva ritoccare i suoi quadri più e più volte, fino a portare lo stesso artista a decidere di non consegnare l’opera commissionata perché ritenuta dallo stesso, inadeguata. Con il famigerato Cavallo -commisionatogli da Ludovico il Moro per rendere omaggio al padre, Francesco Sforza – addirittura l’artista vinciano si supera: progetta una scultura che fin dall’inizio sà essere totalmente irrealizzabile a causa delle proporzioni mastodontiche che richiederebbero una fusione di piombo e metallo irraggiungibile per il periodo del Rinascimento.

Il dipinto più famoso al mondo, simbolo incontrastato dell’arte leonardesca, La Gioconda, è stata ritoccata talmente tante volte che di fatto non è mai stata consegnata a Francesco del Giocondo (secondo molti, il committente del ritratto della consorte), ma ha accompagnato l’artista fino alla sua morte, in Francia. La battaglia di Anghiari è stata abbandonata perchè concepita con la tecnica dell’encausto ritenuta fallimentare per il progetto.

Se, come abbiamo detto, per Michelangelo il non finito era sinonimo di espressione del genio ribelle che l’artista aveva dentro, in Leonardo il discorso si fa simile, poiché egli riteneva che fosse illegittimo portare a termine le sue opere, o meglio poterle appieno realizzare, perchè di fatto nessun opera realizzata attraverso l’uso della mano poteva rendere giustizia alla perfezione dell’idea che veniva concepita dalla mente; l’intelletto è ciò che ci rende più vicini a Dio, l’uso della mano ciò che caratterizza maggiormente la condizione -finita- di essere umano: nulla di ciò che viene concepito dalla divina mente, può trovare perfetta realizzazione in ciò che passa attraverso l’uso di una parte del corpo.
Riguardo a questo particolare aspetto caratterizzante Leonardo, parla anche Giorgio Vasari nel capitolo de “Le Vite” a lui dedicato:

“Trovasi che Lionardo per l’intelligenza de l’arte, cominciò molte cose e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiungnere non potesse alla perfezione de l’arte nelle cose che egli si imaginava, con ciò che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai.”

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Mi chiamo Ilenia Carbonara e mi occupo di comunicazione per l’arte e l’enogastronomia.

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